Come avrete letto in una precedente News è in preparazione un libro su Rat-Man curato da Andrea Plazzi. Per saperne qualcosa di più, abbiamo fatto quattro chiacchiere con il sommo editor del Ratto, su quello che si annuncia come il primo e più completo saggio mai pubblicato sul personaggio e sul suo autore.
Non contenti abbiamo anche chiesto di poter pubblicare qualche brano del libro, cosa che ci è stata subito concessa.

Leo Ortolani, cuore di Rat-Man

In occasione della prossima uscita di Leo Ortolani cuore di Rat-Man, un saggio imperdibile per tutti gli appassionati del Ratto, abbiamo posto qualche domanda ad Andrea Plazzi che ha curato il volume. Andrea ci svela i retroscena che hanno portato alla pubblicazione di un’opera che si propone come il saggio definitivo su Rat-Man.
Al termine dell’intervista, un estratto del libro che Andrea e il suo editore ci hanno gentilmente concesso di pubblicare e da cui si evince l’analisi dei meccanismi che Leo Ortolani impiega nel suo Rat-Man, che ne fanno uno degli autori più fedeli della tradizione Marvel, e al contempo uno dei più originali.

Intervista ad Andrea “sem” Plazzi

Come è nata l’idea del libro?

È stata una proposta di Francesco Coniglio, una vecchissima e cordialissima conoscenza. È anche l’editore di Scuola di Fumetto, la rivista diretta da Laura Scarpa che parecchie volte ha ospitato articoli e interviste su Leo, e anche su Lorenzo (per le tecniche di colorazione). Due o tre volte all’anno organizzano anche workshops sul fumetto tenuti da autori. Il livello è sempre molto alto: in primavera l’ha tenuto Tito Faraci, a giugno Ivo Milazzo, tanto per dare un’idea.
A ottobre ne terrà uno Leo (c’è scritto che ci sono anch’io ma è solo perché avanzava spazio in cartellone e io a occupare spazio sono piuttosto bravo).
In occasione del seminario di Tito la casa editrice aveva pubblicato Per scrivere fumetti, un volumetto che faceva parte del kit compreso nella quota d’iscrizione (curato da Davide Barzi, che tra l’altro è ortolanofilo & ortolanologo di fama): è una monografia sulla sceneggiatura e su come Tito intende questo lavoro, usando naturalmente come esempi le sceneggiature delle sue storie.
Francesco mi ha chiesto se potevo curare un volume analogo, che avrebbe pubblicato in occasione delle lezioni di Leo.
Le caratteristiche tecniche dovrebbero essere identiche (bianco e nero, 14 x 19 cm; 192 pagine) mentre la struttura e i contenuti del volume sono abbastanza diversi.

Come si articola?

Si apre con un intervento a sei mani di Fabio Gadducci, Mirko Tavosanis e me.
Dopo una breve carrellata su Leo come autore, in modo da rendere il volume il più leggibile possibile a un lettore interessato ma non specializzato, analizza alcuni dei tratti principali dei fumetti di Leo, cercando di inquadrarli: il tipo di umorismo, le soluzioni grafiche e così via.
Non ha ambizioni critiche particolari ma siamo tutti e tre convinti che su Leo – nonostante sia corteggiatissimo dagli appassionati e che le interviste su carta e in Rete si sprechino – non si sia scritto molto. Non in proporzione al grande interesse che secondo noi ha il suo lavoro, che è tra i più originali e personali che si siano mai visti da parecchi anni a questa parte. In parte è comprensibile: è ancora giovane e una relativa popolarità è arrivata da poco. Ma è anche probabile che la raffinatezza di tante sue soluzioni sia passata in secondo piano rispetto alla sua incredibile carica comica, che a volte è davvero dirompente, incontenibile. Ed è facile sottovalutare un fumetto comico.
Abbiamo così cercato di fornire un primo contributo, limitato sostanzialmente dalla volontà di restare “leggeri” e di non scoraggiare un lettore “non hard-core”, nonché dai tempi editoriali (un libro di questo tipo non viene programmato con anni di anticipo): qualcosa che inquadri il lavoro di Leo, senza alcuna pretesa di completezza. Saremmo contenti se seguissero altri contributi.
Ci sono poi diverse interviste a persone che, a vario titolo (ma sempre professionalmente), sono interessate a quello che fa Leo e hanno le idee abbastanza precise sul come e sul perché è interessante: naturalmente ci sono autori di fumetti (Antonio Serra, Tito Faraci, Ade Capone) ma anche comici (Gianni Fantoni, Domenico Lannutti) e scrittori (Paolo Nori). C’è anche un elemento come Diego Cajelli, che sta all’incrocio di tutte queste categorie e credo anche che gli piaccia un sacco starci. C’è poi una breve intervista a François Corteggiani, uno nome davvero grosso del fumetto francese e non solo (è amico di Giorgio Cavazzano, con cui collabora da moltissimi anni). Conosce molto bene l’Italia, il suo fumetto e i suoi autori e, da qualche anno, Rat-Man: ha tradotto una storia di Leo e mi è sembrato molto interessante chiedergli delle opinioni.

Quanto è stato difficile scriverlo?

Più che difficile, faticoso, avendo conservato l’abitudine di dormire, ogni tanto… come accennavo, essendo nato non da un progetto personale ma per un’occasione ben precisa, programmata per una certa data, i tempi sono stati stretti.

A chi si rivolge?

È naturalmente un libro per chi è già appassionato di fumetti e conosce Ortolani. Abbiamo cercato di approfondire i meccanismi creativi e narrativi di Leo, analizzando il modo in cui lui fa fumetto, visto dall’esterno. I lettori e i fan che conoscono a memoria le battute di Rat-Man potrebbero allora scoprire quanto siano interessanti le sue storie, anche di là della loro incredibile comicità.
Ma, sinceramente, spero che risulti leggibile e non troppo specialistico anche per il cosiddetto “lettore motivato” che, magari, ha conosciuto Leo solo di recente, dopo che il volume di Repubblica l’ha portato a un pubblico molto più ampio di quello che lo legge regolarmente sulle pagine di Rat-Man.

Che ruolo ha avuto Leo Ortolani nella realizzazione del libro?

Un po’ per la curiosità di leggere finalmente qualcosa che lo riguarda senza sapere già cosa c’è scritto, un po’ perché gli ultimi mesi sono stati veramente pesanti dal punto di vista lavorativo (il lavoro normale – che già non è poco – e uno speciale che verrà annunciato a breve, etc.), Leo si è volutamente tenuto al di fuori del progetto.
Ho fatto qualche debolissima resistenza («Eddai Leo, un’esternazione, una sola… fai finta di essere il Presidente del Consiglio») ma proprio pro-forma…

C’è qualche aneddoto particolare che hai riportato nel libro?

Pare che il cruscotto dell’auto di Gianni Fantoni si ricordi ancora di quella volta che Leo era in ritardo e ha rischiato di perdere il treno…

Quando uscirà e in che circuito di vendita?

Dovrebbe uscire in occasione di Lucca, dopo un’anteprima in occasione del workshop, un paio di settimane prima, sia nelle librerie specializzate che in quelle di varia. Ma non aspettatevi di vederlo impilato alle casse e se vi interessa fate una testa così alla vostra libreria di fiducia.

Lo sai che con questa pubblicazione mi hai fregato l’idea?

Ooopsss…

 

 

Brani dal saggio “Leo Ortolani, cuore di Rat-Man”

«Mi duole un po’ la testa, quando ascolto le parole lunghe.»
– Rat-Man (“Il Re e io”, p. 22)

di Fabio Gadducci, Andrea Plazzi, Mirko Tavosanis

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Tavole e battute

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Uno de[gl]i[ espedienti di Ortolani] più popolari tra i lettori è la pagina di apertura delle storie, spesso la più importante dell’intero episodio. All’inizio, in sintonia con l’impianto parodistico alle origini del personaggio, l’intenzione era riprendere e scimmiottare la classica splash page dei fumetti Marvel degli anni Sessanta: a differenza di quanto avviene normalmente nei fumetti europei e italiani in particolare (come negli albi di Tex o Dylan Dog, per esempio) questa pagina, quasi sempre la prima, non veniva divisa in vignette ma presentava un’unica illustrazione di grandi dimensioni e un titolo/testata dai caratteri più appariscenti e drammatici possibile. Alcune didascalie esplicative aiutavano poi a inquadrare la storia, riassumendo gli eventi passati o, nel caso di una prima puntata, ambientando e introducendo l’inizio della vicenda.
Ortolani ricalca con scrupolo quasi calligrafico questo schema (riconoscibilissimo, tra l’altro, da parte del suo lettore-complice tipo, che condivide con lui una frequentazione di antica data dei fumetti Marvel), adattandolo leggermente e facendone il vero e proprio biglietto da visita delle sue storie. Nell’uso che ne fa Ortolani, il punto chiave sono le didascalie, che a differenza di quanto avviene nel fumetto avventuroso/realistico tradizionale, non sono né esplicative né riassuntive ma servono a catturare il lettore, proponendogli una serie di battute, non necessariamente ispirate alle vicende dell’episodio. La bontà dei risultati non sta quindi nella struttura in sé di questo meccanismo, ma nella felicità della verve di Ortolani, che riesce a infilare una dietro l’altra battute sempre azzeccate e spesso esilaranti, che i fan innalzano al rango di “classici” e che strappano da subito la risata, ottenendo l’attenzione del lettore.
Altro punto caratteristico è la gestione delle pause. Per dare un’idea del passaggio del tempo, Ortolani impiega spesso vignette identiche, con la riproduzione della stessa immagine (per esempio “La gabbia”, n. 26, p. 9: tre vignette identiche su sei): una tecnica ripresa dal fumetto americano, ma qui usata in modo originale, senza battute di dialogo, per dare un’idea del trascorrere del tempo.
Anche la chiusura delle storie – momento ancora più delicato dell’inizio – in Rat-Man è da sempre un vero e proprio tormentone grafico/narrativo, con poche e rare varianti. La soluzione usata più di frequente è quella di una dissolvenza simulata con una serie di vignette di dimensioni sempre minori e spesso nere, a suggerire un “effetto spegnimento”, in analogia con lo schermo televisivo.

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Come abbiamo già osservato, Ortolani ha sviluppato questi espedienti da esempi di per sé già molto riconoscibili e, dal punto di vista grafico, la sua rielaborazione dei modelli originali è minima. L’utilizzo che ne fa, in altre parole, si caratterizza più per il contenuto e la valenza narrativa di queste pagine che per la loro struttura grafica.
Un fatto curioso, comune a molte operazioni nate con intenti parodistici/imitativi e poi proseguite in maniera autonoma, è che col passare del tempo il collegamento col modello originale tende a farsi sempre più tenue ed è naturale (specialmente da parte del pubblico più giovane) attribuire integralmente e tipicamente a Ortolani la paternità di queste soluzioni, producendo l’effetto di “made in Ortolani” di cui si parlava. A titolo di pura speculazione, viene da chiedersi come verrebbe accolto oggi un autore italiano che, egualmente appassionato di cose Marvel e indipendentemente da Ortolani (qualcuno che non ha mai letto Rat-Man, per esempio), proponesse una sua analoga ma autonoma rielaborazione di queste tecniche…

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L’umorismo

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Tutta la saga del Pipistrello (nota tra gli appassionati come “La quadrilogia del ritorno”, nn. 17-20) che si presenta in effetti piuttosto ricca di esempi [del tipico umorismo di Ortolani]: come nella battuta dell’ascensore (“Niente è per sempre”, n. 17, p. 28), che addirittura richiede al lettore la conoscenza di alcune barzellette nel tipico spirito delle scuole elementari. Il recupero e il riciclaggio di questi “materiali infantili” sono tipici di una delle operazioni più personali di Ortolani, che riesce a derivarne un proprio registro umoristico, autonomo e originale rispetto a meccanismi apparentemente assai più sofisticati. Si tratta inoltre di un effetto comico dall’interessante “pay off narrativo”, in quanto non fine a se stesso, né destinato a esaurirsi nella singola gag o battuta. Al contrario, permette all’autore di meglio presentarci il personaggio di Rat-Man che, nel tempo, dall’eroe ridicolo e un po’ imbranato ma sostanzialmente “buffo” e tradizionale degli inizi, si è evoluto in un sorprendente paradigma dell’ottusità più completa, di una stupidità mai sfiorata dalla benché minima parvenza di buon senso. Come sempre accade in presenza della perfezione, l’effetto finale è quello – coscientemente perseguito e raggiunto da Ortolani – del sublime.

Uno dei primi casi in cui questa operazione viene attuata in maniera chiaramente consapevole si trova nella prima parodia, per così dire, contemporanea, quella del colossal di James Cameron: si tratta della barzelletta del “fantasma formaggino”, a cui si fa riferimento in maniera ellittica (“Titanic 2000”, n. 16, p. 11). Non mancano in questa storia particolarmente felice – e non a caso divenuta un piccolo classico dell’autore, recitata a memoria dagli appassionati e addirittura “sonorizzata” da una compagnia teatrale – un altro bell’esempio del meccanismo a cui abbiamo accennato («Forse ha bisogno di cambiare un po’ aria!», p. 14, riferito a una bambola gonfiabile, co-protagonista dell’episodio), né l’uso di metafore incongrue («E noi ci stiamo puntando contro con la sicurezza di un pensionato diretto allo sportello reclami», p. 22) o, ancora, battute strettamente legate allo sviluppo del film parodiato (che non mancano però, all’occasione, di staccarsene, acquisendo una propria autonomia, come nel brillante «La sua bocca aperta in un “Oh” di meraviglia!», p. 19, sempre riferito alla bambola gonfiabile).

Per quanto questi episodi illustrino bene aspetti importanti e tra i più originali dell’umorismo di Ortolani, essi compongono una casistica parziale e puramente esemplificativa, che non ne costituisce né una possibile classificazione né è sufficiente a restituirci pienamente la specificità di Rat-Man e la sorprendente operazione ortolaniana: riscattare e rendere unici giochi di parole e battute altrimenti improponibili a un pubblico adulto e che – per i meccanismi “sofisticati” da cui in realtà dipendono – non potrebbero mai divertire un ipotetico pubblico infantile.

(…)

Il linguaggio

Come è sicuramente già chiaro dagli esempi riportati, anche l’uso del linguaggio è in Rat-Man particolarmente raffinato. Per esempio, la frase in apertura, con quel riferirsi a «Le parole lunghe» sembra sottolineare per il personaggio una fondamentale scansione del vocabolario in due grosse sezioni: parole lunghe e parole corte. Una convinzione che ci trasmette bene il senso di un’ignoranza completa, beata e irrecuperabile, una caratteristica importante – e non di rado funzionale agli sviluppi narrativi – della personalità del “Rat-Man maturo” tratteggiata da Ortolani negli ultimi anni.
Anche in mancanza, per ora, di analisi dettagliate, e soprattutto di statistiche lessicali, che probabilmente risulterebbero assai interessanti, possiamo sicuramente dire che il linguaggio utilizzato in Rat-Man è molto articolato. Limitandoci alla scelta delle parole, si notano, per esempio:
• Termini letterari, aulici o di uso comunque raro, come in questa battuta del Dottor Destino: «Quando mi zampetta intorno con la sua vocina querula, io… io…» (“L’immutabile Destino”, n. 2, p. 20); in questo caso l’effetto comico è ottenuto accostando ai familiari “zampettare” e “vocina” il più letterario “querula”. Un altro esempio di questo espediente è il già citato “senza costrutto”.
• Termini geologici, derivati dagli studi dell’autore e utilizzati senza alcuna precedente spiegazione: “granodiorite” (“La tela strappata”, n. 5, pp. 5, 6); “geode”, “devoniano”, “Aulacogeno del Dnepr-Donetz” e simili (“Operazione geode”, n. 8).
• Perifrasi come “la città senza nome” o “la città molto grande” al posto di nomi geografici; il riferimento, del tutto intenzionale e trasparente, è alle “realtà fittizie” dei fumetti americani (Batman vive a Gotham City, Superman a Metropolis) ma anche di casa nostra (la Darkwood di Zagor).
• Trascrizione fonetica di nomi stranieri secondo la grafìa italiana: dai “Pàuer Rengers” a “Svarzeneggher” (ma non in maniera sistematica: i controesempi sono numerosi); in questo caso l’effetto comico viene dallo spiazzamento del lettore di fronte a nomi che richiedono qualche istante di riflessione per essere riconosciuti.

Già da questi pochi esempi è evidente l’ampiezza dello spettro linguistico utilizzato da Ortolani. A un estremo troviamo l’imitazione abilissima della lingua parlata, con frequenti sospensioni del discorso, frasi interrotte, trascrizioni fonetiche bizzarre e così via. All’altro estremo si trovano le citazioni più disparate (letterarie, scientifiche, cinematografiche e via dicendo) utilizzate spesso come pretesto per il ricorso – comicamente spiazzante – a un linguaggio più o meno oscuro, sia esso colto o specialistico. Dandone però scontata la (improbabile) comprensione da parte del lettore, mosso al riso dall’incongruità dell’uso di termini alti in situazioni demenziali, indipendentemente dal loro effettivo significato (su cui spesso presumibilmente nutre più di un dubbio).